Prevenzione infortuni: l’articolazione delle responsabilità tra datore, dirigente e preposto
Nelle strutture aziendali complesse, la verifica della responsabilità circa il non corretto di assolvimento degli obblighi di prevenzione e vigilanza in materia di infortuni sul lavoro, va rapportata al ruolo rivestito in tale ambito; nello specifico, è riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro derivante dal dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa ed a quella del datore di lavoro l’incidente discendente da scelte gestionali di fondo (Corte di Cassazione, sentenza 17 gennaio 2020, n. 1683).
La vicenda giudiziaria riguarda la condanna in primo grado dell’amministratore delegato e del direttore tecnico di cantiere di una società edile, per aver cagionato, in cooperazione colposa, lesioni gravi a un dipendente infortunato. L’evento si era verificato mentre il lavoratore si trovava sul cassone di un autocarro dotato di gru, dietro la cabina, e stava effettuando operazioni di imbracatura di casseforme a telaio, le quali però erano scivolate a causa dell’uso di fasce in tessuto, certamente non idonee, schiacciandolo contro la sponda posteriore dell’automezzo.
La Corte di appello territoriale aveva confermato la sentenza del Tribunale di prime cure e ritenuto i due imputati (amministratore e preposto) responsabili delle seguenti violazioni:
- per l’amministratore, non aver richiesto al dipendente l’osservanza delle norme di procedura per il sollevamento delle casseforme in conformità al manuale di istruzioni ed uso alla ditta produttrice delle casseforme (art. 18, co. 1, lett. F), D.Lgs. n. 81/2008);
- per il preposto, aver omesso di sovrintendere e vigilare sull’osservanza da parte dei lavoratori del cantiere degli obblighi di legge e delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza previste nel piano operativo di sicurezza e, in particolare, non aver disposto e preteso che le operazioni di movimentazione delle casseforme fossero effettuate secondo le indicazioni del manuale (art. 19, co. 1, lett. A), D.Lgs. n. 81/2008).
Il lavoratore infortunato aveva dichiarato di aver seguito corsi di formazione sull’uso della gru, sull’impiego dei “pannelloni” e sulla sicurezza in cantiere, nonchè di aver appreso di dover movimentare i pannelloni mediante appositi ganci, ma era erroneamente convinto che il manuale di istruzione consentisse le fasce, adoperate sistematicamente, senza che il capocantiere o altri ne sconsigliassero l’uso o controllassero lo stato di usura. Peraltro, dal controllo dei provvedimenti disciplinari, non era risultato che il lavoratore fosse stato rimproverato per l’uso delle fasce.
Ricorre così in Cassazione il direttore tecnico di cantiere, lamentando che, erroneamente, la Corte territoriale avesse fondato il proprio giudizio di responsabilità sulla circostanza dell’abituale uso nel cantiere delle fasce in luogo dei ganci, mentre sarebbe stato necessario stabilire se era l’utilizzo delle fasce ad aver provocato l’evento lesivo.
Per la Suprema Corte il ricorso è infondato.
Alla luce della normativa prevenzionistica vigente, sul datore di lavoro grava l’obbligo di valutare tutti i rischi connessi alle attività lavorative e attraverso tale adempimento pervenire alla individuazione delle misure cautelari necessarie e quindi alla loro adozione, non mancando di assicurarsi l’osservanza di tali misure da parte dei lavoratori. Nella maggioranza dei casi, tuttavia, la complessità dei processi aziendali richiede la presenza di dirigenti e di preposti che in diverso modo coadiuvano il datore di lavoro. I primi attuano le direttive del datore di lavoro, organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa (art. 2, co. 1, lett. d), D.Lgs. n. 81/2008); i secondi sovrintendono alla attività lavorativa e garantiscono l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa (art. 2, co. 1, lett. e), D.Lgs. n. 81/2008).
Ciò premesso, in tema di prevenzione infortuni sul lavoro, ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo.
Pertanto, anche in relazione all’obbligo di vigilanza, le modalità di assolvimento vanno rapportate al ruolo che viene in considerazione e il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle eventualmente impartitegli in aggiunta. Ne consegue che, qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo o di lesioni colpose aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche.
Quanto alla censura del ricorrente circa la mancata dimostrazione della sussistenza del nesso causale, la Corte di merito ha adeguatamente evidenziato l’approssimazione nell’espletamento di un’attività pericolosa e l’utilizzazione di fasce non consentite, spiegando che esse risultavano del tutto inidonee a sostenere il peso delle casseforme e a scongiurare eventi lesivi, come quello poi effettivamente verificatosi. E’ quindi dimostrato che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, non si era attenuto alle disposizioni di legge, tollerando una prassi particolarmente pericolosa per gli addetti e suggerita dalla società, non predisponendo le opportune precauzioni per scongiurarne l’utilizzo, nonché non sorvegliando l’operato dei dipendenti.